Elisa, un film di Leonardo Di Costanzo
Elisa sta scontando vent’anni di condanna presso una struttura penitenziaria all’avanguardia, dove il tentativo di recupero del condannato passa per condizioni carcerarie “umane” (spazi, libertà di movimento etc..) e attraverso l’impiego in attività lavorative. Dieci anni prima ha ucciso brutalmente la sorella, bruciandone il cadavere, oltre ad aver tentato di uccidere anche la madre, ma i dettagli di ciò che è accaduto in quei giorni sono ancora avvolti dal mistero. Elisa infatti, a seguito di un processo di rimozione , ha semplicemente cancellato ciò che ha commesso. Un’amnesia che le ha consentito di ottenere una condanna ridotta.
Elisa, interpretata da una straordinaria Barbara Ronchi da premi, è una detenuta modello ma porta con sé un senso di mistero, tiene un bassissimo profilo e appare sempre all’erta, come attanagliata dalla paura. Ma cosa terrorizza davvero Elisa? Proverà a scoprirlo il Professor Aloui, un criminologo che collabora con la struttura carceraria ed interessato a far emergere il rimosso, ma non sarà un impresa facile, perchè il segreto è ben custodito e mentre inizialmente Elisa collabora, rischia invece di perdersi quando il criminologo, con gli strumenti della psicanalisi, si avvicina pericolosamente alla genesi della rimozione.
Elisa è un film bello, coraggioso e provocatorio il giusto. Ad una società impaurita e “giustizialista” alla quale difficilmente viene offerta una narrazione diversa da quella carcero-centrica, Di Costanzo ci invita a cambiare prospettiva: …e se provassimo anche a capirlo il male, per non creare e non diventare mostri a nostra volta? Un approccio decisamente controcorrente e affatto semplice visto che cercare di comprendere le ragioni di un delitto tanto atroce, come quello raccontato nel film, rischia fatalmente di apparire solo un inutile ed odioso privilegio concesso al “carnefice” oltre che un oltraggio alla memoria delle vittime.
Il messaggio veicolato dal film è che forse un altro mondo è possibile e che umanizzare le condizioni carcerarie mettendo al centro del progetto il concetto di recupero, resta, in fondo, l’unico percorso possibile per superare il male ed aprire le sbarre di due “prigioni” opposte, quasi delle “comfort-zone” che, cristallizzando l’emotività sia dei colpevoli che dei parenti delle vittime, in un eterno senso di colpa in un caso o nella ricerca della “vendetta” nell’altro, finiscono per diventare dei “fine pena mai” per entrambi.
Se vogliamo che la Giustizia si realizzi davvero e non si esaurisca col verdetto e con la pena, questo ci dice il film, occorre allora un salto di qualità per intraprendere un viaggio doloroso dentro noi stessi e scoprire così che non esistono mostri, che il male non viene poi da così lontano ma ci abita quotidianamente, come ci abitano i nostri difetti, le nostre paure e le nostre mancanze. Il male come scorciatoia per scappare da noi stessi e dall’incapacità di accettare la nostra imperfezione come normalità.
Un film da vedere per il tema affrontato e per l’intensa performance di Ronchi. Peccato però per una scrittura che sfiora appena, lasciandole sullo sfondo, le dinamiche familiari che hanno tenuto a battesimo la lenta maturazione dell’evento delittuoso e che , se approfondite, avrebbero conferito più struttura al racconto.
Bel film e molto bella tua recensione. Grazie Beppe
Grazie a te.