I confini della Democrazia e l’Europa
La Democrazia intesa come soggetto politico che si fa Stato, tanto da diventarne complemento e sinonimo, arranca e fatica sempre più ad assicurare in maniera diffusa, rispettando il principio di uguaglianza, la democrazia “sostanziale”, risultando quindi sterile se sterilizzata del criterio di universalità. Affermatasi nel Novecento come metodo, come lo strumento ideale per distribuire benessere sociale ed economico nella libertà, appare sempre meno all’altezza del compito, oggi nel nuovo secolo ed agli albori del terzo millennio, caratterizzati come sono dalla progressiva perdità di sovranità degli Stati.
Nuove istituzioni (Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale, BCE etc…) e nuovi attori economici globali, in ossequio alla globalizzazione e alla libera circolazione di merci, capitali e lavoro, sottraggono agli stati sfere di competenze sempre più ampie e limitando il loro raggio d’azione è come se in qualche modo ne riducessero i confini, come se una parte dei loro cittadini fosse semi-apolide dipendendo la loro vita lavorativa e sociale da processi decisionali transnazionali invece che interni allo Stato che dovrebbe rappresentarli . È qui, in questo deficit di rappresentanza che si traduce in sfiducia e fuga dal processo democratico, il primo e più importante fattore di crisi delle democrazie.
In questa sorta di governance a più livelli che priva sempre più gli Stati-nazione di autonomia politica, quasi a disegnare una nuova cartina “geopolitica”, la democrazia come l’abbiamo conosciuta, rischia di fare la fine del “vaso di coccio”, proprio per il mismatch tra “ zona di competenza” e “ zona di influenza” del Poteri Statali e di pagare un prezzo altissimo: ridursi a simulacro di se stessa. Se la Politica non riesce a compensare la perdità di sovranità, attenuandone le conseguenze, la stessa non potrà che tradursi in riduzione della democrazia reale ed aumento delle diseguaglianze generando paure, rifiuti e ritorni a pulsioni identitarie già condannate dalla Storia. Ma dobbiamo domandarci se la politica sia o no all’altezza del compito, e quale strategia addottare a fronte di un processo di globalizzazione della politica stessa.
Di fronte alla mondializzazione dell’economia e conseguentemente delle politiche che necessariamente ne devono riflettere l’interdipendenza, già ora si possono delineare, nel concerto dei paesi europei, sostanzialmente due approcci: il più rappresentato va nella direzione di mantenere sostanzialmente lo status-quo con una leggere tendenza a creare strumenti di cogestione per cercare di dare una risposta unitaria e più forte ai problemi degli stati; il meno rappresentativo, ma in crescita, mira all’aumento delle divisioni tra stati, in nome di un ritorno a politiche che privilegino le identità nazionali viste come antidoto alla perdita di sovranità e nella speranza che l’Europa si limiti a condividere solo la politica monetaria. Il primo si ispira all’unità dei valori comuni ma senza avere la forza di proporre ed attuare un vero e proprio disegno unificatore, il secondo, al contrario, all’esaltazione delle differenza, assurta a valore stesso e non è un caso infatti che i paesi cosiddetti “sovranisti” siano sotto osservazione per il mancato rispetto dei diritti alla base dell’Unione Europea.
Emerge in entrambi gli schieramenti, seppur cosí diversi, la ritrosia a fondere la propria identità nazionale in un’unica identità europea. L’incapacità a vedere in questa comunione di differenze un valore aggiunto e non la perdità delle proprie tradizioni e prerogative. Quello del quale faticano a prendere atto è che la globalizzazione, che secondo la Banca Mondiale ha contribuito a far uscire dalla povertà circa 200 milioni di persone nel mondo, è un fenomeno irreversibile e se vogliamo che le democrazie continuino ad essere tali e che riescano ad opporsi al loro declino in un mondo che, ricordiamocelo bene, le vede in minoranza, occorre che i loro confini si allarghino globalizzandosi a loro volta. Il loro destino è legato indissolubilmente a quello dell’Europa Unita che solo se veramente realizzata è in grado di di assicurarlo. Di fronte alla diminuzione di sovranità degli stati conseguita alla globalizzazione occorre opporre un’unica democrazia, un’unico confine: l’Europa.
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Caro Beppe come sempre condivido in pieno la tua analisi.Parlavo recentemente con un amico dello svuotamento del valore della politica e del relativo svuotamento della democrazia che ne è il derivato.Il mio interlocutore partiva da un assunto radicale:politica, democrazia e rappresentatività sono concetti superati perché le politiche sono un’emanazione delle volontà dei grandi gruppi industriali e delle multinazionali che condizionano e determinano le politiche dei singoli paesi.E quindi il valore del concetto di destra e sinistra vanno ripensati perché storicamente superati.,sia per ragioni ideologiche e storiche sia perché siamo di fronte a scelte autonome limitate dai diktat o normative europee.Una volta,con un sistema organico delle”donazioni”o
contributi volontari distribuiti equamente tra i partiti, i grandi gruppi industriali cercavano un trattamento” benevolo”da parte delle istituzioni.Ora al contrario è la politica ad essere subordinata al volere delle lobbies e dei grandi gruppi industriali.Nei paesi dove c’è il primato della politica(Russia e Cina)il potere dei grandi gruppi industriali è ridotto e la politica ha ancora un ruolo di leadership.Opinioni per me radicali ma che hanno un fondo di verità.Il problema a questo punto è che in quei paesi il concetto di democrazia , dell’alternanza dei poteri e del dibattito interno e quasi del tutto assente perché siamo di fronte a un personaggio tipo Putin che con modifiche ad hoc si sta assicurando una presidenza a vita e dall’altra parte (Cina)siamo di fronte alla contraddizione tra un regime formalmente comunista che convive con una politica di libero mercato.Il punto è quanto sia possibile parlare di un primato della politica dove ci sia anche una democrazia forte e rappresentativa e in qualche modo autonoma.E’ possibile farlo in Europa?Allo stato attuale secondo me no e quindi sarebbe quanto mai opportuno una politica il più possibile unitaria a livello Europeo.Il problema è che se si soffia contro con messaggi propagandistici e qualunquistici di una precisa parte politica la strada è in salita..
ciao Alberto, grazie per il tuo commento approfondito. La politica è debole specie in Italia per tanti motivi: selezione e qualità della classe dirigente in primis e diventa cosí subalterna al consenso, alle lobby etc…. Nei paesi autoritari è molto peggio ma, rispetto alle democrazie, hanno il “vantaggio” di non dover mediare le decisioni: politica e regime coincidono e nessuno contesta….
Speriamo nell’Europa e che i paesi che ne fanno parte capiscano al più presto che andare da soli equivale a declino certo.Ti immagini l’Italia da sola tra venti o trent’anni competere con quello che sarà la Cina allora o l’India… che stanno facendo passi da gigante già adesso?
la vera sfida è interna alle democrazie..