
Il rumore dei tuoi passi di Valentina D’Urbano
recensione di Beppe Orlando
La “Fortezza”, un quartiere “ghetto” , un luogo fatto di case “sbreccate ”in un’ indefinita periferia, il cui soprannome evoca qualcosa di inespugnabile situata com’è in cima ad un colle dove le case sono tutte occupate da abusivi, fa da quinta a questo romanzo di formazione, alla storia di Beatrice e di Alfredo sullo sfondo degli anni settanta e ottanta: “eravamo gente poco raccomandabile, che nessuno voleva prendere a lavorare, i rifiuti della società, gente senza speranza che avevano messo al mondo figli che avevano ancora meno speranza dei genitori”. Beatrice e Alfredo si conoscono per la prima volta quando lei ha otto anni in occasione di un evento violento. “I gemelli ci chiamavano. Dicevano che eravamo uguali anche se non ci assomigliavamo per niente”. Nasce così un legame particolare che è il cuore della storia: due caratteri opposti (lui sapeva amare incondizionatamente, come un cane, con la stessa insensata fiducia, con lo stesso cieco trasporto, io invece odiavo. Odiavo il suo carattere debole il suo qualunquismo, la sua pigrizia, la sua rassegnazione al mondo che lo aveva prodotto), ma che non possono fare a meno di stare insieme come se qualcosa oltre la loro volontà li tenesse legati. Un rapporto che col tempo si trasforma in qualcosa di diverso e di più profondo che loro stessi leggono in maniera confusa sentendosi come fratelli ma al tempo stesso combattuti da un’attrazione alla quale si sottraggono con fatica e sensi di colpa in un conflitto continuo “eravamo gemelli, non si poteva fare, non si doveva neanche pensare..” Insieme vivono gli anni innocenti dell’infanzia, quelli turbolenti dell’adolescenza e quelli duri seguiti al raggiungimento della maggiore età. Insieme affrontano eventi estremamente e la dipendenza dall’eroina di Alfredo, una dipendenza difficile da combattere e che coinvolgerà anche Beatrice che lo assisterà nei terribili momenti di astinenza nella speranza di “salvarlo” dalla schiavitù della droga.
Una storia senza respiro raccontata in prima persona da una voce narrante priva di fronzoli, con una scrittura diretta che non fa sconti a richiamare la durezza delle vite raccontate: “eravamo così , retrocessi allo stato di natura, alla selezione rigida e crudele, il più forte divorava il più debole e ci sembrava la cosa più naturale del mondo e forse lo era davvero”. Una vita ed un posto ai quali ci si abitua e dai quali non si riesce ad uscire (io qui ci sono nata, questo posto non mi fa paura, questa è casa mia e qui mi sento al sicuro) se non pagando un prezzo altissimo.