La Shoah non è un destino

La Shoah non è un destino

Marzo 30, 2024 4 Di beppe orlando

Verrebbe da dire, se non rischiasse di apparire quasi “blasfemo”, giù le mani dalla Shoah, giù le mani dagli orrori del Novecento, giù le mani da quanto di peggio l’essere umano abbia mai potuto teorizzare,pianificare e portare a termine. Giù le mani, in realtà, prima che sia troppo tardi, da quella riserva di umana indignazione che credevamo un argine eterno ed inesauribile, vero e proprio “Patrimonio dell’Umanità; da quella ribellione morale, dalla vergogna e dal senso di colpa che l’Olocausto ha generato , come effetto secondario, e che, trasformatosi in valore morale, ha funzionato e funziona tutt’ora come deterrente, come anticorpo all’orrore.

In un tempo che rende verosimile ogni cosa e trasforma la verità in opinione, fare un copia e incolla della Storia per leggere il presente è una strada doppiamente senza uscita: impedisce la comprensione dei fatti e priva la Storia della necessaria credibilità, negandoci, in un solo colpo, due verità. Richiamarsi alla Shoah per gli attentati del 7 ottobre e classificare la condanna della Comunità Internazionale per il bombardamento su Gaza, come un ritorno alle atmosfere di odio antisemita del Novecento, lungi da contribuire alla comprensione di quanto accade in quelle terre così martoriate, ottiene solo di indebolire proprio quell’argine comune, oltre ad erodere” il “consenso”, diventato vicinanza morale e civile, che la Storia aveva assegnato al popolo ebraico.

Quello che Israele vive e amplifica da oltre settant’anni è un “loop” generato dalla paura, un riflesso condizionato simile ad una psicosi e i frutti prodotti da questa sindrome dell’ antisemitismo sono quelli che vediamo da allora e continuiamo a vedere, purtroppo, ogni giorno. Forse era inevitabile dato il contesto che portò alla “costruzione a tavolino” dello Stato d’Israele all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale. Un progetto nato come risarcimento morale e contraddistinto dall’esigenza di dotare di una casa comune gli ebrei d’europa sopravissuti allo sterminio nazista e reso fragile, però, da un “difetto” di origine, quello di pensare ad una possibile coabitazione israeliano-palestinese rivelatasi, infatti, più che velleitaria. Un nodo gordiano tuttora irrisolto e gravido di conseguenze, anche e soprattutto perchè quell’esigenza (lecita) di sicurezza, figlia inevitabile della tragica esperienza della Shoah, si sarebbe declinata fin dalla nascita di Israele in un allargamento dei confini a scapito degli arabi palestinesi, trasformando la paura in aggressione ”difensiva”. Ed è così da allora.

Ma forse il vero vulnus di quel progetto è molto più profondo ed intimamente collegato all’identità ebraica, al dna di un popolo costruito sul mito biblico della diaspora, sempre in cerca di una terra promessa, eternamente in fuga perchè perseguitato. Un codice della differenza che li ha portati ad essere prigionieri della propria storia. Una promessa biblica , quella della Terra dei Padri, che si è fatta Stato.

Poteva essere diversa la postura di una Nazione nata con queste premesse?