La Shoah non è un destino
Verrebbe da dire, se non rischiasse di apparire quasi “blasfemo”, giù le mani dalla Shoah, giù le mani dagli orrori del Novecento, giù le mani da quanto di peggio l’essere umano abbia mai potuto teorizzare,pianificare e portare a termine. Giù le mani, in realtà, prima che sia troppo tardi, da quella riserva di umana indignazione che credevamo un argine eterno ed inesauribile, vero e proprio “Patrimonio dell’Umanità; da quella ribellione morale, dalla vergogna e dal senso di colpa che l’Olocausto ha generato , come effetto secondario, e che, trasformatosi in valore morale, ha funzionato e funziona tutt’ora come deterrente, come anticorpo all’orrore.
In un tempo che rende verosimile ogni cosa e trasforma la verità in opinione, fare un copia e incolla della Storia per leggere il presente è una strada doppiamente senza uscita: impedisce la comprensione dei fatti e priva la Storia della necessaria credibilità, negandoci, in un solo colpo, due verità. Richiamarsi alla Shoah per gli attentati del 7 ottobre e classificare la condanna della Comunità Internazionale per il bombardamento su Gaza, come un ritorno alle atmosfere di odio antisemita del Novecento, lungi da contribuire alla comprensione di quanto accade in quelle terre così martoriate, ottiene solo di indebolire proprio quell’argine comune, oltre ad erodere” il “consenso”, diventato vicinanza morale e civile, che la Storia aveva assegnato al popolo ebraico.
Quello che Israele vive e amplifica da oltre settant’anni è un “loop” generato dalla paura, un riflesso condizionato simile ad una psicosi e i frutti prodotti da questa sindrome dell’ antisemitismo sono quelli che vediamo da allora e continuiamo a vedere, purtroppo, ogni giorno. Forse era inevitabile dato il contesto che portò alla “costruzione a tavolino” dello Stato d’Israele all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale. Un progetto nato come risarcimento morale e contraddistinto dall’esigenza di dotare di una casa comune gli ebrei d’europa sopravissuti allo sterminio nazista e reso fragile, però, da un “difetto” di origine, quello di pensare ad una possibile coabitazione israeliano-palestinese rivelatasi, infatti, più che velleitaria. Un nodo gordiano tuttora irrisolto e gravido di conseguenze, anche e soprattutto perchè quell’esigenza (lecita) di sicurezza, figlia inevitabile della tragica esperienza della Shoah, si sarebbe declinata fin dalla nascita di Israele in un allargamento dei confini a scapito degli arabi palestinesi, trasformando la paura in aggressione ”difensiva”. Ed è così da allora.
Ma forse il vero vulnus di quel progetto è molto più profondo ed intimamente collegato all’identità ebraica, al dna di un popolo costruito sul mito biblico della diaspora, sempre in cerca di una terra promessa, eternamente in fuga perchè perseguitato. Un codice della differenza che li ha portati ad essere prigionieri della propria storia. Una promessa biblica , quella della Terra dei Padri, che si è fatta Stato.
Poteva essere diversa la postura di una Nazione nata con queste premesse?
Non poteva essere diversa, i fatti lo dimostrano.
Analisi perfetta
Grazie del commento. A presto.
Caro Beppe parto dalla fine del tuo bellissimo editoriale (che va letto e riletto):”..un codice della differenza che li ha portati ad essere prigionieri della propria storia”.Una frase vera e potente che riassume l’essenza dell’ebraismo e cioè di un popolo scelto da Dio e con tutto ciò che ne deriva::la terra promessa e’riservata loro da Dio e quindi non oggetto di spartizione(per gli ebrei ultraortodossi ma non solo.Ne è nata e si è sedimentata nel corso dei secoli la convinzione di essere un’élite spirituale che poi si è evoluta in un’élite economico e finanziaria che si è rafforzata in modo identitario grazie e soprattutto alla persecuzione nel corso
dei secoli dalla parte della chiesa cattolica che tra editti e scomuniche varie)che li accusava non solo di eresia(la Torah si ferma al 5 libro dell’antico testamento e quindi disconoscono Gesù e il. nuovo testamento)ma soprattutto di Deicidio.Le nascite dei ghetti ebraici e delle persecuzioni ha avuto l’effetto contrario e cioè quello di rafforzarne l’identità aumentata ancora di più dopo la Shoah..I rapporti e il conflitto israelo-palestinese è quanto mai complesso e capire i torti e le ragioni degli uni e degli è pressoché impossibile in quanto spesso si intrecciano tra di loro..Ho letto due libri di Benny Morris(tra cui il celebre’Vinti’)nei quali allora lo storico israeliano ha cercato di fare una ricostruzione il più possibile obiettiva salvo poi virare dopo il 2000 su una posizione di sfiducia totale verso una soluzione pacifica..D’altronde sin dalla fine dell’800 la nascita dei primi insediamenti sionisti è stata fatta spesso in modo aggressivo al pari dell’accoglienza araba..Ci sono stati forse 4momenti nei quali la storia poteva prendere una piega diversa.Nel 1948 quando nacque Israele e Ben Gurion accettò la spartizione salvo essere attaccato il giorno dopo.Nel 2000 a Camp David dove si arrivò vicino a un’intesa poi fatta saltare da Arafat,nel2002 quando la lega Araba propose compatta il riconoscimento di Israele incondizionato e totale purché venisse data esecuzione alla risoluzione Onu del 67 e che Israele respinse e soprattutto con la proposta Olmert del 2008 dove non si ebbe il coraggio di siglare l’accordo.E’ mancato il coraggio ma anche la convinzione reciproca che chi avesse firmato l’accordo sarebbe stato di fatto un'”dead man walking”..Coloni o ultraortodossi e frange islamiste radicali non avrebbero permesso l’accordo e oggi la situazione è compromessa in modo definitivo.I miei 2 viaggi in Israele sono stati illuminanti per capire più a fondo quel mondo.Un paese dove il radicalismo religioso è piu spinto di come ci appare con la presenza capillare degli Haredim ebrei e dove si respira un’aria perenne di pronta autodifesa.Mi ricorderò sempre i soldati che pregavano davanti al Muro del Pianto con il mitra sulle ginocchia per poi essere chiamati per sedare dei violenti incidenti sulla spianata della Moschee.Quello che mi impressionò fu la normalità con cui salirono sulle camionette:il conflitto era ed è normale amministrazione..Arginale o cambiare l’atteggiamento reciproco di delegittimazione dell’altro e il nichilismo spinto ora appare purtoppo quasi impossibile
ciao Alberto, è sempre un piacere leggere i tuoi commenti cosí ricchi di spunti. Nello specifico del del tema credo che la creazione di un’ “enclave” israeliana all’indomani del secondo conflitto mondiale sia stato un errore ..un po’ come aver imposto alla Germania sconfitta della prima guerra mondiale delle condizioni capestro tali da favorire la nascita del terzo Reich….. speeriamo che le conseguenze non siano altrettanto tragiche.
A presto