
Tre Piani di Eshkol Nevo
Chi siamo davvero? Cosa alberga in noi dietro la facciata presentabile di tutti i giorni?
Il romanzo di Nevo è uno scandaglio nella profondità della psiche, alla scoperta di quella
realtà immateriale che plasma la nostra personalità, il nostro Io, sempre alla ricerca di un
equilibrio tra le paure e le pulsioni più nascoste e la norma scritta e non.
L’autore, con un’efficacissima metafora, ambienta tre racconti-confessione, in una palazzina
di tre piani, rappresentazione dei livelli della psiche freudiana: inconscio, io e super-io.
Nel primo racconto Arnon, per un malinteso senso di responsabilità, conseguenza della
educazione rigida ricevuta, sente di dover proteggere la figlia, una bambina di sette anni,
da tutto e da tutti. Le sue paure inconsce lo porteranno a travisare un incidente occorso al
suo vicino di casa, un anziano malato di Alzheimer, che si occupa insieme alla moglie, di
tenere ogni tanto la bambina e che un giorno a causa della malattia si perderà insieme a lei.
Nel secondo racconto, Hani, madre di due bambini e moglie di Assaf, spesso assente per
motivi di lavoro, in balia della paura di subire la stessa sorte della madre, ricoverata in un
ospedale psichiatrico quando lei era ancora una bambina, sente sgretolarsi lentamente il
senso di sé, fino a confondere la realtà con l’immaginazione. Il senso di smarrimento che
prova è accentuato dall’assenza del marito, assenza che lei vive come un difetto, uno stigma
di cui vergognarsi. L’incontro con il cognato, con il quale nascerá una particolare intesa, potrà
rappresentare per la protagonista la molla da cui ripartire o al contrario la conferma delle
sue paure.
Il terzo racconto ha come protagonista Dovra, giudice in pensione, che, contagiata dalla
ondata di proteste giovanili che invade la città e da un incontro inaspettato che le consentirà
di ricucire le ferite del passato, sente la necessità di ripensare la sua vita e di raccontare al
marito defunto il momento e le emozioni che sta vivendo. Tramite una vecchia segreteria
telefonica in disuso recuperata tra le cose da buttare, inizia cosí il “dialogo” immaginario con
il marito, che si trasforma in una riflessione sul passato e un’ ammissione di colpa per gli
errori compiuti.
Un libro bellissimo, scritto in modo molto efficace, facendolo sembrare quasi un racconto
orale, una confessione collettiva.
Un “dietro le quinte” del nostro vissuto, che ci racconta delle forze che, in un eterno conflitto
tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, concorrono all’ edificazione della nostra fragile
personalità, “quella cosa che tiene uniti tutti i pezzi, che guida, che organizza, quella cosa da
cui tutto viene e a cui tutto va, un’essenza, quella cosa che è noi, una specie di spina
dorsale, ma non di ossa, di sentimenti…”
Un libro sulla forza liberatoria e terapeutica del racconto di sé, che comporta necessaria-
mente che qualcuno ascolti e che diventa conoscenza (anche dolorosa) di noi stessi, dei
nostri limiti: “la psicoterapeuta ha ascoltato. E ascoltato. E ascoltato. Alla fine ha detto
solamente: fai bene a parlarne. Deve essere difficile tenersi dentro un sentimento del
genere.”
Freud diceva: per dimenticare bisogna ricordare.