Uccido chi voglio di Fabio Stassi
“Soltanto dopo qualche lungo, interminabile secondo, capì che la marionetta inerte e senza scarpe, intenta a fissare inutilmente la parete, era suo figlio. Aveva due buchi al posto degli occhi….” La condizione di cecità ed il romanzo assimilati dalla familiarità con quel non luogo, dove realtà e fantasia perdono di significato , fino a confondersi in un gioco misterioso di sogni e di inganni che può rivelarsi però molto pericoloso, come in questo racconto.
Vince Corso, professore di Lettere senza cattedra, si ricicla come biblioterapeuta, quasi un medico dell’anima che prescrive libri anzichè farmaci. Sembra una professione tranquilla, al più forse un po ‘ pretenziosa, che mai penseresti pericolosa, tanto da rischiare la vita, e invece…………Una lettera dal carcere, inizialmente sottovalutata, un apparente furto nel suo appartamento con l’avvelenamento di Django, il suo cane, sono solo il prologo ad una serie di omicidi che sembrano come aspettarlo per poi mettersi in scena, come fosse un convitato a sua insaputa, tanto che persino il Comissario Ingravallo inizia a sospettare di Vince per le tante coincidenze.
Vince inizia cosí a vivere suo malgrado una vita parallela, quasi fosse il protagonista di una storia il cui controllo però sembra essere nelle folli mani di un’entità astratta alla quale non riesce (o non vuole) sottrarsi. Si sente continuamente osservato, accerchiato ma soprattutto attratto da qualcosa che non comprende appieno ma del quale è in grado di cogliere i voluti riferimenti letterari degli omicidi, vere e proprie citazioni e per lui un vero e proprio richiamo… Saranno, infatti, proprio i suoi compagni di vita, i libri, a condurlo all’appuntamento “mortale” con chi ha ordito una trama degna del miglior Allan Poe e con la soluzione del caso.
‘Uccido chi voglio” è quasi un meta-libro. Un racconto sulla magia della scrittura, sull’interazione tra realtà e immaginazione e sulla relazione ambigua tra lettore, autore e protagonista, in un gioco di specchi dal sapore quasi “calviniano”. Un libro sul fascino della lettura che in questo racconto si fa, sí, perverso, ma che estremizzandosi in un disegno criminale volto ad “affermare la supremazia della letteratura sulla vita” sembra ribadire, con ancora più efficacia il potere che la parola può avere sulla vita.