Un partito conservatore tra passato e futuro.
Da qualche giorno, sui principali quotidiani nazionali, si dibatte sulla compatibilità del pensiero conservatore e, necessariamente, di una sua rappresentanza politica, con la contemporaneità. Una contemporaneità che, spesso, è già futuro, innervata com’è dallo spirito “tecnologico” del tempo, quello che Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera del 26 aprile, definisce “posizione egemonica di una narrazione progressista ..”
Nel “pezzo” dal titolo “I conservatori si occupino del futuro e non del passato” , lo storico si chiede che cosa debba e/o possa proporsi oggi di conservare un partito conservatore per essere fedele al suo nome e contemporaneamente superare il proprio limite intrinseco che è quello di indirizzare lo sguardo al passato, una postura che, specialmente nel nostro paese, dove il pensiero dominante è portato a giudicare sempre e comunque positivo ogni cambiamento e a salutare con soddisfazione ogni distacco da pratiche e principi del passato, denuncia un sapore decisamente retrivo, antiquato.
Nell’ analisi di un tempo, quello di oggi, incerto e confuso nel suo repentino mutamento, in cui il progresso tecnico-scientifico, mentre appare in alcuni campi portatore di ampi miglioramenti qualitativi della vita, in altri, al contrario, rischia, se non opportunamente governato , di generare più ineguaglianze, in una sorta di progresso “antidemocratico”, l’autore dell’articolo, appartenente a pieno titolo all’ intellighenzia di sinistra, rivela una visione del futuro intrisa di forte pessimismo.
Vedendo “incombere un’età dell’incertezza e forse del pericolo“ in cui “tutto contribuisce a indebolire la speranza che il domani sarà migliore dell’oggi “ e dove rischia di prevalere il senso di smarrimento e di irrilevanza, indica la strada che il pensiero conservatore deve seguire per ambire a diventare protagonista e fronteggiare la mistificazione del pensiero progressista che, nonostante la crisi investa anche il suo retroterra culturale, riesce comunque ad “occultare la portata di quanto sta accadendo”.
Il compito primo di un partito conservatore dovrebbe essere, quindi, secondo lo storico, quello di “provare a cambiare la narrazione del presente sottraendolo per l’appunto ai tracciati convenzionali, alle vulgate progressiste, e mostrandone invece la realtà altamente problematica, spesso irrealistica. Cambiare il punto di vista sul presente, per conservare un futuro nel quale sia ancora possibile riconoscersi.”
In questo appello (quasi un ossimoro), al pensiero conservatore, affichè si affranchi dagli orpelli identitari del passato, per assumere in sè quel pragmatismo dal quale, invece, il pensiero progressista sembra aver abiurato per “eccessiva fiducia nelle magnifiche sorti e progressive” , c’è, a mio avviso, un non so chè di fallace, un vizio di ragionamento dovuto, credo, ad una falsa premessa, quella per cui il progresso tecnico-scientifico avrebbe anche una responsabilità politica, nel senso che dovrebbe farsi carico ed essere giudicato in base alle “conseguenze sociali” derivanti dalle sue applicazioni.
La scienza, la tecnologia e le relative innovazioni sono neutre per definizione. Se la loro applicazione determina, come è inevitabile, delle nuove modalità di relazione, in grado di comprimere o di estendere dei diritti sta alla Politica gestirne gli effetti evitando che si trasformino in zone franche della democrazia e dei diritti (vedi il mondo del Delivery con i nuovi lavori non regolati..)
L’approccio acritico, laico, che Galli della Loggia auspica nel pensiero conservatore nei confronti del “positivismo” tecnologico e delle “vulgate progressiste” è la cifra che dovrebbe contraddistinguere la Politica tutta. Un approccio e una postura intellettuale che che non si inventano dall’oggi al domani, necessitando di un’indispensabile precondizione: la conoscenza.
Il problema vero e non meno complesso che la contemporaneità ci pone è quello dell’inadeguatezza di una Politica che, soprattutto in Italia, dimostra tutti i suoi limiti, priva com’è degli strumenti per comprendere, prevenire e gestire la complessità del nostro tempo e di quello futuro.
È questo a generare smarrimento e paura, non il progresso.
Caro Beppe, come hai ragione.
Quasi su tutto😀.
O meglio, forse non considero un particolare, che ti espongo.
Dubito fortemente che Barners Lee e Caillau abbiano immaginato anche lontanamente dove avrebbe portato il Web. Così come dubito che coloro che inviarono il primo msg di posta elettronica tra le 4 università di Arpanet immaginassero fino a quando quel sistema avrebbe pervaso la vita nel mondo (“parliamo di 60 anni fa). Di esempi di questo tipo quanti ne possiamo fare?
Con ciò voglio dire che se neanche uomini di scienza dal pensiero pionieristico sono stati in grado di vedere dove si sarebbe andato a finire, come si può pretendere che politici, fossero anche colti , cosa he mi astengo dal commentare, riescano ad inventarsi un qualsiasi modo di gestire realmente il cambiamento.?
Quei politici che quando siamo fortunati, molto, hanno una visione del futuro con un orizzonte temporale di massimo 6 mesi?
Al massimo possiamo chiedergli, forse chiederci, di mettere una pezza a cambiamenti avvenuti..
Si tempi della prima rivoluzione industriale forse le tempistiche potevano permettere un certo tipo di gestione politica, ancorché ci fosse la volontà di farlo. Ma oggi?
Ti propongo una sfida mentale.
Avrai già notato l’allarme che l’avvento, diciamo così che forse è il termine esatto, di ChatGpt ha generato negli ambienti più attenti a questi fatti.
Bene, siamo solo agli inizi. Quando arriveranno i computer quantici l’impulso che riceveranno le AI sarà drammatico.
Quale futuro puoi immaginare in proposito?
Quale fantascientifico futuro ci aspetta?
Chi è in grado di immaginarlo e tentare di scrivere regole base per gestirlo?
La Russa?
La Schlein?
Papa Francesco o successore?
Permettimi un riso amaro
Ciao
PS. si computer quantici non mancano moltissimi anni
non sai che piacere mi ha fatto il tuo commento. Il sorriso amaro è anche il mio ovviamente di fronte all’inettitudine della Politica, ma sta a noi (a chi altri se no?) cambiarla per renderla capace di affrontare i cambiamenti e per non subirli, dandogli una direzione il più possibile “democratica”, evitando che il pessimismo diventi inevitabilmente la cifra del nostro tempo anche quando avremmo imvece più motivi per credere che il progresso possa cambiare in meglio il mondo.
Grazie ancora del tuo bellissimo commento.
A presto