Borgo Sud di D. Di Pietrantonio
“Mia sorella, un fiore improbabile,cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Ora ci somigliamo meno nei tratti ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate,”
Terminava così l’Arminuta, la storia di una bambina che viene cresciuta dalla cugina del padre e che poi a tredici anni viene “restituita” ai genitori e al loro mondo fatto di estrema povertà, di ignoranza e mancanza di affetto: “Ero l’arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza.”
In Borgo Sud l’autrice riprende le fila della storia. Sono passati trent’anni e l’Arminuta, voce narrante, si è trasferita in Francia ed insegna all’università di Grenoble. Una telefonata dall’ Italia e poche parole in dialetto, gravi nella loro urgente sintesi, la catapulteranno, in una sorta di viaggio a ritroso nel tempo, in un mondo di affetti mancati o malriposti e di dolorose scoperte, i cui echi si erano sopiti da tempo e dai quali era fuggita tanti anni prima. Ma soprattutto, dovrà fare i conti con quanto di più prezioso ha al mondo e che rischia di perdere definitivamente.
Trascinata, dalla telefonata, sull’orlo del precipizio, l’Arminuta inizierà a sfogliare un toccante e terapeutico album dei ricordi: rivivrà così il periodo più difficile della sua vita iniziato il giorno in cui Adriana sua sorella, che non vedeva da tempo e con la quale esiste un legame quasi primordiale, entra prepotentemente nella sua vita ed in quella di Piero, suo marito: “non immaginavo la rivoluzione che stava per cominciare, se l’avessi prevista li avrei forse lasciati fuori,…se non fosse arrivata, chissá, tutto il resto non sarebbe accaduto….”
Speranze, delusioni e verità inconfessabili vengono rievocate nell’estremo tentativo di dare un senso a quello che ha vissuto : all’amore materno negatole dalla nascita e incapace a manifestarsi anche dopo, a quello di una vita, che non le spettava, alla ricerca perenne di una identità: “il ricordo è il perdono che non trovo”.
Ricordi raccontati con un sentimento profondo come quello che prova per Adriana, così conflittualmente diversa da lei, eppure così necessaria. Un rapporto nato quando a tredici anni è costretta a cambiare madre e casa, a rinunciare ad una vita dove si sentiva amata, per tornare dove l’amore era una lingua sconosciuta e lei solo una bocca in più da sfamare e dove non sarebbe sopravvissuta se non fosse stato per quella bambina di tre anni più piccola, con la quale divideva il letto e non solo.
E adesso la sua Adriana, la sua ancora di salvezza, così ancestralmente legata ad ogni costo alla sua terra e al suo mare, la sua Adriana così selvaggiamente priva di regole se non quelle della pura sopravvivenza, la sua Adriana che proprio grazie alla forza interiore è riuscita a sopravvivere ad un’infanzia priva di tutto, ha bisogno di lei e lei è lì nella speranza che tutto sia ancora possibile, che il destino non la privi di quello che ha sempre cercato e che ora sa finalmente di aver trovato.
Pagine che anche quando ci raccontano dell’incapacità di amare risuonano di un amore profondo e di un altrettanto profondo attaccamento alla vita, alle proprie origini e alle proprie radici. Amore che diventa esso stesso fondamento della nostra identità, la prima e indispensabile pagina della nostra storia.
Bello