
Iddu l’ultimo padrino- un film scritto e diretto da Grassadonia e Piazza
Catello Palumbo ex Sindaco dopo essere uscito dal carcere dove ha scontato una pena per crimini mafiosi, decide di rimettersi in gioco e riprendere gli intrallazzi lasciati a metà ma viene avvicinato da elementi dei Servizi Segreti che intendono utilizzarlo come esca per arrivare a Matteo Messina Denaro, latitante da tempo. Ben presto però Catello, che nella collaborazione con i Servizi intravede la realizzazione di un vecchio progetto edilizio, si rende conto di essere la pedina di un gioco più grande di lui, un gioco molto pericoloso…
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L’intenzione, tanto dichiarata, quanto originale ed ambiziosa, di trasfigurare in chiave grottesca, quasi a svelarne una nascosta fragilità, il mito dell’invicibilità mafiosa, non ottiene del tutto gli effetti sperati e così il tentativo dei due registi Grassadonia e Piazza di ricostruire la storia della latitanza di Matteo Messina, svelando i lati grotteschi di una vita non vissuta, di un potere che per essere tale è costretto ad autoesiliarsi, un potere alla fine tanto sopravvalutato, quanto vacuo e triste, si rivela forse più un’occasione mancata che realizzata davvero, un prodotto finale che appare incerto nel suo (lento) incedere e dall’identita discutibile.
Quello che non convince del tutto è proprio l’ aver tratteggiato quel mondo attingendo alla commedia all’italiana con una caratterizzazione dei personaggi ai limiti del grottesco, quasi autoironica, nella quale però non tutti gli interpreti appaiono all’altezza, fatta eccezzione per quel mostro sacro di Toni Servillo, agevolato anche dal dover indossare la maschera del politico infingardo e inaffidabile di natura, e della bravissima Elisabetta Pedrazzi, nei panni della moglie, che non tradisce la sua formazione teatrale “defilippiana”; mentre non altrettanto convincente appare Elio Germano nei panni del latitante, troppo intento a rappresentarne il solo supposto lato intellettuale, con il risultato di accantonare il lato contradittorio della sua personalità criminale, per non parlare della squadra dei Servizi Segreti.
Ed è proprio nel contributo degli interpreti della squadra dei Servizi, che si annida la parte più debole del racconto che, a parte un promettente incipit e un explicit rivelatore,risulta piatto ed indeciso come incerta appare la loro caratterizzazione decisamente troppo didascalica e fine a se stessa anzichè al servizio della storia.
Un film comunque da vedere per l’interessante intuizione dei due registi anche se non sostenuta sufficientemente dalla scrittura.
Non sono assolutamente d’accordo sulla realizzazione dei film che fanno riferimento a capimafia latitanti o meno col rischio di farli sembrare, nel mondo distopico del sud Italia dove le mafie prosperano, quasi degli eroi che continuano a vivere e a delinquere in barba alle istituzoni. Per questi motivi, al di là della bravura degli attori, lascio ad altri la visione.
In realtà il tentativo dei due registi è quello di ridicolizzare, di ridurre a maschera, un mondo, quello mafioso, che regge solo sulla paura e costretto alla latitanza, e la mafiosità intesa come metodo di sopravvivenza e interessata connivenza e convivenza con il fenomeno mafioso.
Un tentativo teoricamente suggestivo ma a mio avviso non perfettamente riuscito.