Il Partito diffuso e la questione giovanile
Forse si poteva fare solo così. Solo “forzando” le logiche associazioniste, garantendo la candidatura ed il voto ai non iscritti, poteva realizzarsi una vera rivoluzione, trasformando il problema numero uno del nostro paese, la questione giovanile, direttamente, senza mediazioni, in progetto e soggetto politico. In due mosse sia il problema dell’identità della Sinistra che quello della rappresentanza di un mondo giovanile, in cerca della visibilità necessaria per modificare le priorità dell’agenda politica, sembrano aver trovato una composizione.
Un partito in cerca di identità e incapace di tradurre il pensiero in progetto politico, non si era accorto (“non ci hanno visti arrivare…”) che quello che cercava era lì, a portata di mano di ognuno di noi, ci andavi a sbattere ogni giorno, aveva il volto dei nostri figli, la stessa assenza di pregiudizi e libertà di pensiero, la stessa mancanza di prospettive, lo stesso sentimento europeo, gli stessi timori per il cambiamento climatico e la stessa voglia di cambiare un mondo (anche politico) che li mette ai margini, che li costringe ad emigrare per trovare ciò che qui gli è precluso e ai quali noi adulti/anziani/vecchi siamo stati capaci solamente di consegnare un mondo che semplicemente non li contempla. In fondo era inevitabile, entrambi avevano bisogno uno dell’altro. Ma serviva qualcosa che consentisse la fusione a freddo. Le primarie lo hanno reso possibile, trasformandosi in una sorta di varco spazio-temporale attraverso il quale far entrare il futuro, o meglio, attraverso il quale, il futuro (donna e giovane) si è presa il partito.
Ma l’OPA giovanile oltre ad aver messo a fuoco l’ urgenza , per la Sinistra, di invertire la direzione dello sguardo, pena l’irrilevanza, ha inoltre fatto giustizia delle riserve (quanto disinteressate?) circa l’utilità e la compatibilità tra la forma partito e l’esperienza delle primarie. Non è solo questione di numeri anche se hanno la loro importanza (il rapporto é quasi di 10 a 1 tra voti nei gazebo e voti degli iscritti), ma quello che significa, quello che rappresenta la partecipazione al rito delle primarie di quel milione di voti di non iscritti, molti nuovi e molti di ritorno. Cos’è il voto, questo in particolare, se non la sublimazione del senso di appartenenza ad una comunità, (che non è non solo fisica ma soprattutto ideale) e della condivisione di un’idea di mondo? Perché si fa fatica ad accettare, proprio oggi, nell’epoca delle forme nuove di convivenza familiare e non solo, l’idea di un partito che, allargando i confini angusti di una tessera, si realizza, invece, nella diffusione di quell’atto che, più di ogni altro, racchiude in sé l’essenza stessa della democrazia: la possibilità di scegliere, di cambiare le cose, di essere protagonisti (art.49 della costituzione)? Non sono forse nate per questo le primarie?
Se cerca il M5S potrebbe succedere qualcosa di buono.