Parthenope – un film di Paolo Sorrentino

Parthenope – un film di Paolo Sorrentino

Novembre 11, 2024 0 Di beppe orlando

Lo spazio “sorrentiniano” è un altrove quasi onirico, dove il racconto si fa raffigurazione grottesca  ed allegorica. La trasfigurazione come linguaggio estetico del mistero, in questo caso di Napoli, un arcano dipanato  a partire  dalla sua genesi avvolta dal mito.

La storia di Parthenope, nata tra le acque di Posillipo,  diventa così un viaggio “dantesco” tra i gironi infernali di una Napoli  bella e dannata, dove il sacro ed il profano sono le maschere di una secolare rappresentazione. Ma è anche un viaggio nella e della gioventù: sogno irrisolto e monito delle occasioni perdute, oltre che potere della bellezza che della gioventù è l’alter-ego.

Una bellezza però quasi fine a se stessa : “non c’è gioia nei tuoi occhi…”, riflessa in quella illusoria e violata di Napoli: “.. è impossibile essere felici nella città più bella del mondo“ , quasi un non luogo, che diventa l’allegoria perfetta dell’ agire umano, quel crinale così affollato di santi e peccatori, raccontato con uno sguardo insieme dolente e amorevole : “io non la giudicherò mai e lei non mi giudicherà mai”, come dice a Parthenope, nel cui ruolo Celeste Dalla Porta è semplicemente perfetta, il Prof. Marotta interpretato da un bravissimo Silvio Orlando.

Giudicare un film di Sorrentino non è mai facile. Il suo è un cinema che affida all’estetica il senso ed il rischio è che questo, come purtroppo accade in Parthenope, non veicoli efficacemente e non arrivi del tutto allo spettatore. Il film, infatti, dopo un inizio promettente dove il mistero del mito emerge con la sua leggerezza simbolica , strada facendo si appesantisce di troppe citazioni e raffigurazioni didascaliche .

Il desiderio è un mistero e il sesso il suo funerale”, prendo a prestito uno dei tanti aforismi che accompagnano il racconto perché involontariamente sintetizza efficacemente il lato debole di un film dove c’è veramente troppo ma al tempo stesso hai sempre la sensazione che qualcosa manchi. Aforismi, metafore e allegorie, seppur apprezzabili stilisticamente, si alternano infatti in un inutile e un po’ confuso “ libretto delle istruzioni” che finisce per oscurarne il significato, privando lo spettatore del rapporto diretto con il mistero, lasciandogli invece, grazie ad alcune scelte discutibili, come quella dell’excipit ‘calcistico” , il retrogusto amaro di uno sguardo stereotipato.