Vermiglio – un film di Maura Delpero
Vermiglio, 1944
Gran premio della giuria al Festival di Venezia, il film di Maura Delpero, racconta, con una grazia che ti seduce fin dalle prime immagini, un “piccolo mondo antico” incastonato tra le montagne trentine. Una grazia che si dimostrerà la vera cifra del racconto, quasi una dichiarazione d’intenti e che non viene meno neanche quando ( e qui sta la forza segreta di questo lungometraggio) ritrae la condizione femminile dell’epoca, all’interno di una famiglia e di un borgo di montagna durante il secondo conflitto mondiale e il cui dominus, Cesare, esercita una potestà educativa e morale tanto riconosciuta quanto estesa: maestro di scuola e riferimento etico della piccola e isolata comunità oltre ad essere il genitore di una pletora di figli e figlie di ogni età.
La storia ha inizio in pieno inverno, durante l’ultimo anno della guerra, il momento più difficile del conflitto, quando in paese arriva Pietro, un giovane soldato siciliano, fuggito dalla guerra portando con sè, in salvo, Attilio, nipote del Maestro. Pietro sarà il sasso gettato nello stagno, una cesura tra il vecchio ed il nuovo, tra la fine del conflitto e l’inizio della speranza nel nuovo ordine, che finirà per mettere a nudo le contraddizioni di una comunità retta sulla subalternità femminile e non ancora pronta al cambiamento.
Una subalternità raccontata con un registro intimista ed audacemente controcorrente, ma non per questo meno efficace. A differenza di “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, infatti, dove il racconto della condizione femminile assume il tono della denuncia e dell’impegno, in Vermiglio la medesima condizione, calata in un contesto opposto, viene filtrata da uno sguardo pieno di una sensibilità che verrebbe da definire femminile se questo non evocasse un ossimoro. Uno sguardo capace di cogliere a trecentosessanta gradi (contraddizioni comprese) la sostanza di quella comunione di affetti e non solo, chiamata famiglia, vero fondamento della struttura sociale di un’ epoca che si avvicina al tramonto.
In Vermiglio l’uomo dà le carte e alle donne la strada appare già tracciata, tutto vero, ma dal racconto sembra emergere anche altro, qualcosa che ci chiede di approndire lo sguardo, di andare oltre le apparenze, oltre la divisione manichea del giusto e sbagliato: una certa fluidità delle opportunità concesse, per esempio, quando il padre/maestro si dimostra “illuminato” non esitando a scegliere come migliore candidata a proseguire gli studi e quindi ad una vita “maschile” , nel senso delle opportunità, una delle figlie ,precludendone la stessa strada al figlio maschio; e il privilegio, invece tutto “femminile”, di sapersi guardare dentro, di una complicità affettiva e amorosa che diventa condivisione tra le tre sorelle e non solo.
Mentre gli uomini ci appaiono soverchiati dalla responsabilità delle decisioni, quasi prigionieri della loro “libertà” , il mondo femminile seppure schiavo di un solco già tracciato, ci appare invece godere della libertà dei sentimenti, oltre a quella di raccontarsi. Tutto nel film è meravigliosamente in chiaroscuro, apparendoci per questo autentico, come la figura del Maestro (un Tommaso Ragno superlativo), antico e moderno al tempo stesso, ponte tra passato e futuro, quel futuro così ambiguo, anch’esso, che la fine del conflitto riserverà allla figlia maggiore, un nuovo e più impervio cammino verso una libertà a caro prezzo, una sorta di cacciata dal Paradiso.
Un ritratto al “femminile plurale”. Sono le donne infatti le vere protagoniste del film , a loro è assegnato il compito di sognare, di fantasticare pur nella ridotta del ruolo sociale loro assegnato, e nella loro complicità (di classe?) sembrano quasi anticipare il futuro.
Un film da non perdere che, conducendoci per mano tra le inevitabili contraddizioni umane e storiche da accettare nella loro complessità, ci invita alla riflessione e al pensiero critico. Non poco davvero in un’epoca in cui il tempo della ragione sembra essersi esaurito, sostituito dalla comoda scorciatoia delle verità cucite su misura e del pregiudizio.